Quei temerari sulle macchine volanti (L. Cancrini,1982)

La prima curiosità è il titolo "Quei temerari sulle macchine volanti": L. Cancrini associa la vita del tossicomane all'immagine dei piloti d'aerei degli anni '20, temerari proprio perchè allora gli incidenti erano molto frequenti vista la precarietà della struttura degli aerei, eppure sfidavano il cielo e si affidavano ad ali precarie pur di allargare i propri orizzonti. Allo stesso modo i tossicomani si affidano ad ali precarie, quelle della droga, pur di non limitare la propria esistenza, ma il sole scioglie le ali di chi tenta di volare e di non conformarsi alle regole della società.
Altro aspetto per me curioso è l'uso del termine "farmaco" per riferirsi alla droga.
Sulla base di alcune interpretazioni, soprattutto psicoanalitiche, Cancrini propone la classificazione di 4 tipi di tossicomania con relativi trattamenti terapeutici:
  • le tossicomanie traumatiche o di tipo A
  • le tossicomanie legate all'area nevrotica o di tipo B
  • le tossicomanie di transizione o di tipo C
  • le tossicomanie sociopatiche o di tipo D

Nelle tossicomanie traumatiche o di tipo A rientrano i casi in cui è possibile individuare nella storia del paziente degli eventi traumatici, quali la morte di un genitore, la loro separazione, una delusione sentimentale, lavorativa o di studio, a cui è seguito l'incontro con la droga, che cambia repentinamenente lo stile di vita del paziente.
Si tratta delle tossicomanie con la percentuale maggiore di remissione del sintomo, e l'esordio si presenta perlopiù in coincidenza dell'adolescenza. L'uso della droga non comporta piacere, ma diventa un sostituto di un dolore insopportabile; il tossicomane non assume un atteggiamento di sfida verso l'esterno, ma di riservatezza e a livello relazionale appare povero di punti di riferimento. In questi casi per Cancrini risulta efficace una terapia individuale.

Nelle tossicomanie di area nevrotica o di tipo B rientrano i casi in cui la tossicomania nasce come copertura di disturbi di area nevrotica. Anche in questo caso l'effetto della droga non è fonte di piacere, ma a differenza delle traumatiche, il tossicomane ha un atteggiamento di sfida nelle relazioni (i genitori vengono colpevolizzati delle proprie angosce e conflitti). In questi casi la mappa familiare appare maggiormente identificabile: confini invischiati, con forte coinvolgimento M-F e perifericità P; inoltre a livello comunicativo prevale la contraddittorietà dei messaggi, di cui il sintomo tossicomane mantiene l'omeostasi.
Consigliabile la disassuefazione domiciliare.

Nelle tossicomanie di transizione o di tipo C, Cancrini fa rientrare i casi più gravi caratterizzati da: alternanza di stati depressivi a stati maniacali; alto rischio di recidive, anche in altre forme di tossicomania come l'alcolismo; rischio di suicidi; una comunicazione familiare basata sulla mistificazione e su messaggi paradossali; alto l'invischiamento.
A livello terapeutico la maggiore efficacia si riscontra dai trattamenti in comunità terapeutiche o da terapie familiari.
In questa tipologia rientrano i casi citati dai lavori di Glover e di Olievenstein, se pur con le dovute differenze. Glover parla di un'aspecificità della predisposizione alla tossicomania, aspetto rifiutato da O.; inoltre nel tossicomane individua l'uso di meccanismi psicotoci e nevrotici da cui distingue tre tipi di tossicomanie (meno gravi con rituali ossessivi; medio gravi con un'organizzazione ciclotimica sottostante; i più gravi, con un disturbo di personalità paranoide); precisa anche ciò che distingue lo psicopatico dal tossicomane: il primo tende a modificare aggressivamente l'ambiente a causa delle sue angosce interne, il tossicomane, invece, ricorre ad una modifica allucinatoria della realtà attraverso il ricorso alla droga. Limite del lavoro di Glover risulta essere la poca attualità: la tossicomania non riguarda solo strutture di personalità gravemente compromesse, infatti fattori come maggiore accesso alla droga, abbassamento delle barriere culturali hanno favorito una maggiore diffusione del comportamento tossicomane.
Olivienstein, dal canto suo, sulla base di un lavoro clinico svolto su 1200 pazienti, individua aspetti specifici del tossicomane. Innanzitutto colloca all'età di 3-18 mesi le premesse per un futuro tossicomane; questo periodo viene chiamato "fase dello specchio infranto" in cui il bambino non sperimenta l'anticipazione di un'immagine di sè integra, come nella fase dello specchio, ma frammentaria, fatta di vuoti. Il rituale dell'iniezione sembrerebbe, sempre secondo Olievenstein, rinnovare la sensazione di ricomporre l'immagine di sè con il susseguirsi di fasi, quali: l'attesa-desiderio; l'incontro con la droga; l'ebbrezza data dalla droga; il superamento dell'ebbrezza; vuoto depressivo. Inoltre evidenzia anche un decorso della tossicomania: a breve termine il tossicomane fa esperienza degli effetti piacevoli della droga (luna di miele); a lungo termine della loro limitatezza, fase in cui, accanto ad uno stato depressivo e di scetticismo, c'è la possibilità di un'apertura all'intervento terapeutico. Altre ridondanze del comportamento tossicomane riguardano il rapporto con la norma e con le figure più significative: la norma è vista come deludente e inoperante e si va alla ricerca di nuovi contesti a cui conformarsi, antitetici alle istituzioni; il legame con l'altro è caratterizzato dal bisogno di avere tutto o nulla, per cui suscita nell'altro iniziative messianiche per salvarlo, rifiuti, difficoltà.

In ultimo le Tossicomanie sociopatiche o di tipo D. Di solito in questi casi il tossicomane ha storie legate ad abbandoni (precoce istituzionalizzazione) e a disadattamento (che può manifestarsi sottoforma di ritardo psicomotorio nell'infanzia, difficoltà scolastiche e opposizione alle regole in adolescenza). Nei casi più gravi le famiglie di provenienza sono disimpegnate e appartenenti alle classi sociali più svantaggiate (famiglie monoparentali, multiproblematiche...). L'atteggiamento del tossicomane sociopatico è per lo più di sfida e di sfiducia nell'altro; l'ambiente è percepito come ostile e numerosi sono gli sviluppi in politossicomania. Il riferimento teorico di Cancrini in questo caso è J. Bowlby: quest'ultimo infatti individua una relazione tra un'esperienza traumatica di abbandono del bambino e lo sviluppo di una personalità antisociale (nel caso di un attaccamento disorganizzato con la figura materna) o dipendente (se attaccamento ansioso-evitante).
Per le tossicomanie sociopatiche il trattamento terapeutico è di difficile individuazione e l'approdo alla comunità terapeutica spesso risulta essere punto di arrivo dopo una lunga serie di tentativi terapeutici.

Nella parte finale del libro, Cancrini riserva un'attenzione particolare alle tipologie di trattamento terapeutico della tossicomania, tra cui:
  • la terapia familiare
  • la terapia familiare multipla
  • le comunità esplicitamente terapeutiche e e le comunità implicitamente terapeutiche
Nel caso della terapia familiare Cancrini fa riferimento a J. Haley.
Il comportamento tossicomane rientra tra i problemi di svincolo e di difficoltà di individuazione dell'adolescente, pertanto si parla di:
  • reversibilità del sintomo
  • aspecificità della sofferenza del giovane adulto
  • importanza delle relazioni interpersonali del tossicomane per il decorso e per l'efficacia terapeutica

Il sintomo di tossicomania diventa utile ai fini omeostatici dell'organizzazione familiare: permettere alla coppia di avere qualcuno di cui occuparsi, aldilà della sua presenza fissa a casa. Il processo terapeutico pertanto mira a spingere la famiglia verso l'autonomia del figlio.
Stanton e Todd (allievi di Haley) studiarono un campione di tossicomani di età minore ai 35 anni in trattamento metadonico per dipendenza da eroina da almeno 2 anni, da cui trassero alcune osservazioni sia sull'organizzazione familiare sia sul progetto terapeutico.
La tipologia delle famiglie con figlio tossicomane era caratterizzata da:
  • un ipercoinvolgimento tra la madre e il paziente
  • perifericità del padre
  • e uscita da casa degli altri figli già avvenuta
Pertanto ai fini terapeutici individuarono una serie di fasi del percorso terapeutico:
  • stabilire scopi comuni legati all'abbandono dell'uso della droga e creare un'alleanza genitoriale per decidere regole ben chiare e ferme da far rispettare al figlio
  • favorire concretamente l'autonomia del figlio
  • affrontare i problemi coniugali
E in base a tale lavoro si evidenziarono alcuni errori terapeutici nel rifiuto da parte della famiglia nell'intraprendere una terapia familiare, come ad es. non convocare direttamente tutti i membri della famiglia aspettandosi che sia il paziente designato a portarli in terapia o altri portavoce; far sentire i genitori accusati e colpevoli della condizione del figlio.

Un altro tipo di intervento citato è quello della terapia familiare multipla, in base al lavoro di P. ed E. Kaufman.
In questo caso si tratta di sedute a cui partecipano gruppi di famiglie, mentre il paziente tossicomane sta seguendo un programma residenziale all'interno di una comunità terapeutica. Una somiglianza con la terapia familiare sta nel perseguire l'obiettivo che i genitori facciano fronte unico per dare regole chiare al figlio tossicomane, evidenziando come la famiglia abbia un ruolo nel produrre e perpetuare l'abuso di droga. Differenze, invece, riguardano la composizione del sistema terapeutico: in questo caso c'è un gruppo di persone accomunate dallo stesso problema non un esperto a cui rivolgersi, evitando idealizzazioni o invidie; inoltre non si affrontano i conflitti coniugali.

Infine Cancrini riporta i lavori svolti nelle comunità terapeutiche evidenziando le differenze che esistono al loro interno. Fa una macrodistinzione tra comunità esplicitamente terapeutiche e comunità implicitamente terapeutiche.
Le comunità esplicitamente terapeutiche, in base alla tradizione statunitense, ad es. Progetto uomo, presentano un programma terapeutico ben strutturato che regolamenta l'ingresso in comunità (in base ad una motivazione reale del tossicomane), la permanenza (fase in cui non si è ancora stati accettati, fase dell'accoglienza, comunità vera e propria, rientro in società) e l'uscita (ufficializzata da cambiamenti). Inoltre si persegue la filosofia del Daytop, in cui si trasmette al tossicodipendente l'idea della responsabilità che ha sul suo comportamento. Una responsabilità che và conquistata dimostrando cambiamenti, come riconoscimento del bisogno di aiuto e affidarsi al gruppo, saper ascoltare l'altro, rispetto gerarchico...
Differenti invece le comunità implicitamente terapeutiche, come quella di S. Patrignano e Gruppo Abele. In questi casi più che come comunità si definiscono come cooperative: la finalità è l'organizzazione del lavoro basato sulla cooperazione e autogestione.
Non esiste regolamentazione dell'accesso in base alla motivazione del tossicodipendente, ma in base alla disponibilità di posti. Inoltre si ha un concetto diverso di responsabilità: ognuno è responsabile di sè, non c'è nessuna conquista della responsabilità. Non ci sono incontri terapeutici formalizzati, ma spontanei e non è prevista nessuna fase, nemmeno quella di uscita. Nel caso particolare della comunità di S. Patrignano conta molto la figura del leader carismatico.
Aldilà delle differenze, secondo Cancrini il merito attribuibile alle C.T. è quello di dare uan lettura della tossicomania in termini padagogici ed educativi ancor prima che sanitari; inoltre demoliscono l'idea dell'ineluttabilità del comportamento tossicomane.